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Una sentenza della Cassazione fa il punto sul titolo edilizio necessario in caso di riconversione di terreni di gioco tra i due tipici sport di racchetta

di Andrea Farano, avvocato in Milano

Ci ha fatto un certo effetto – lo ammettiamo – scoprire che anche la Cassazione, il massimo organo giudiziario nazionale, ha avuto modo di affrontare e dirimere questioni legate al nostro sport. A ben vedere, tuttavia, i tempi possono dirsi ampiamente maturi, considerato che la vertiginosa diffusione padelistica cominciata nel 2020 ha giocoforza originato un contenzioso piò o meno diffuso a livello locale, che oggi puntualmente si affaccia al terzo grado di giudizio.

Non trattasi di questione di poco conto, dal momento che – pur non costituendo le statuizioni del Supremo Collegio un precedente strettamente vincolante per il nostro sistema giuridico – è innegabile che le parole degli Ermellini rappresentano un imprescindibile riferimento per gli operatori del diritto e, quindi, non potranno che condizionare, di riflesso, le decisioni dei tribunali e delle corti, consolidando indirizzi interpretativi fondamentali per orientarsi in un ecosistema legislativo ancora acerbo.

L’antefatto

Con ordinanza del 24 luglio 2023, il Tribunale del riesame di Palermo rigettava la richiesta di riesame avanzata dalla difesa dell’imputato, avverso il decreto di sequestro preventivo di due campi da padel, realizzati in una zona vincolata paesaggisticamente e sismicamente – e con destinazione d’uso “verde agricolo” – in relazione all’imputazione di cui all’articolo 44 del D.P.R. n. 380/2001 (che disciplina le sanzioni conseguenti all’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal Testo Unico dell’Edilizia, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire).

Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione, ivi innanzitutto contestando – per quanto in questa sede maggiormente ci interessa – l’affermazione secondo cui la realizzazione di campi di padel, in riconversione di campi da tennis preesistenti, non rientra negli interventi di ristrutturazione edilizia cosiddetta “semplice” o “leggera”, necessitante di semplice “SCIA”, ma ha bisogno di permesso a costruire, nel caso di specie mancante.

La disamina preliminare

La Corte di Cassazione (sezione terza penale) – con la sentenza n. 11999 del 6 marzo 2024 – al fine di dirimere la questione premette una minuziosa panoramica sul regime autorizzativo proprio degli interventi di ristrutturazione edilizia (vale a dire tutti quelli “volti a trasformare gli organismi edilizi per mezzo di un insieme di opere che possono portare ad un organismo diverso -tutto o in parte- da quello precedente”).

Il Supremo Collegio traccia quindi la distinzione sistematica e caratteristica tra quanto rientrante nella cosiddetta ristrutturazione edilizia ”leggera”, per cui “è necessaria la presentazione della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) ai sensi dell’art. 22 D.P.R. 380/2001, e l’edilizia “pesante” o la “nuova costruzione”, rispetto alle quali è obbligatoriamente richiesto il permesso di costruire.

Ciò chiarito, viene evidenziato come il regime autorizzativo afferente la realizzazione di campi di padel non sia affatto quello invocato dal ricorrente.

L’orientamento consolidato dei Tribunali Amministrativi

Il giudice di ultima istanza innanzitutto richiama – e, implicitamente, conferma – quanto già espresso dalla sentenza della Cassazione n. 41182 del 20 ottobre 2021, secondo cui la realizzazione di un campo di padel «costituisce intervento che, per le sue caratteristiche complessive, connotate per l’installazione su apposita superficie, funzionale alla peculiare attività sportiva, di carpenteria e lastre di vetro perimetrali, incide sul territorio in termini di modifica del medesimo, e come tale rientra nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380».

Sottolinea il Collegio, al riguardo, che tale impostazione è peraltro conforme a quella della prevalente giurisprudenza amministrativa, che – “sia pure non nella sua massima composizione” – ha avuto modo di confrontarsi con una tematica che, come accennavamo in premessa, è ormai “divenuta pressante in ragione della crescente popolarità dello sport in questione”. Sul punto, quindi, la Cassazione fa proprie le statuizioni della pronuncia del TAR Piemonte, n. 223 dell’8/13 marzo 2023, che ha chiarito che le opere in questione hanno caratteristiche tali da comportare una “trasformazione significativa e permanente del territorio”, risultando quindi soggette al preventivo rilascio di apposito titolo edilizio, nonché all’acquisizione dell’apposita autorizzazione paesaggistica e sismica.

Del pari, la Corte valorizza la sentenza del TAR Lazio, n. 607 del 24/07/2023 (cui questa rubrica ha dedicato un approfondimento sul numero 11-12/2023, pg. 18), laddove è stato affermato che la realizzazione di un impianto sportivo in zona agricola «configura violazione dell’art. 44 lett. b) DPR 6 giugno 2001, n. 3804, in considerazione del fatto che la realizzazione di strutture sportive è consentita su aree destinate ad attività sportiva, con la presentazione di SCIA, ma senza creazione di volumetria e comunque mai nelle zone aventi destinazione agricola».

L’enunciazione del principio di diritto

Di particolare interesse, a nostro avviso, è la precisazione operata dal Collegio circa l’ipotesi di riconversione tra strutture già destinate a sport di racchetta: in maniera lapidaria, la Cassazione ha infatti aggiunto che «la circostanza secondo cui, come nel caso di specie, i campi di padel vadano a sostituire dei preesistenti campi da tennis, è ininfluente». Sul punto, ancora una volta sovviene la giurisprudenza territoriale: il riferimento esplicito è alla pronuncia del TAR Sicilia, sentenza n. 265 dell’8 ottobre/22 novembre 2021, secondo cui la realizzazione dei campi di padel «essendo una trasformazione edilizia del terreno (stante la realizzazione di un’opera di scavo e di un basamento in calcestruzzo in grado di incidere in modo definitivo sulla permeabilità del suolo), non può essere compatibile con la destinazione a zona agricola del terreno ospitante».

Nella circostanza, i giudici amministrativi avevano evidenziato che i campi di padel si differenziano dai campi da tennis e da calcio «in quanto, mentre in questi ultimi occorre un mero movimento terra, senza mutare le caratteristiche originarie di permeabilità del suolo», per la realizzazione dei campi di padel «è necessaria la realizzazione di un massetto di cemento (di circa 10/12 cm) ove allocare il tappeto in fibra sintetica e la posa in opera delle barriere in vetro temperato (alte oltre 3 mt.)». La Cassazione, a conclusione del proprio percorso ermeneutico, si spinge quindi ad enucleare il principio di diritto secondo cui «la realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis in un campo da padel, costituisce una “nuova costruzione”, per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire». Parole chiare che, ne siamo certi, saranno di ausilio a professionisti e imprenditori nella programmazione di interventi di riqualificazione di strutture sportive.



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